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Perché giocare a Rugby?
Appena un bambino vede una palla, in genere non la prende a calci, ma la esplora con le mani la osserva e la lancia con le mani.
È naturale che poi impari a correre con la palla in mano. Già questa osservazione fa capire perché l’inventore del Rugby William Webb Ellis, durante una partita di Football prese la palla con le mani e corse fino a portarla oltre la linea di porta. Ciò avveniva nel 1823 nella scuola della cittadina di Rugby e quel gesto spontaneo ha innescato il mondo del rugby che oltre ad essere uno sport è una filosofia di vita.
Per un bambino di 6-7 anni che cosa c’è di più bello che avere la possibilità di correre con la palla in mano, “acchiappare” quello che ha la palla e rotolarsi per terra.
Il Rugby è libertà, scuola di vita e disciplina.
Da un punto di vista medico sportivo è un classico sport aerobico anaerobico alternato, cioè è necessaria resistenza e nel contempo velocità.
Ma diversamente ad altri sport i ruoli determinano un impegno diverso, infatti gli “avanti” devono anche avere qualità di potenza pura, mentre i tre quarti (gli attaccanti) devono avere nel loro bagaglio tecnico oltre a capacità di forza esplosiva “velocità” anche notevole “destrezza”.
- È pericoloso giocare a Rugby?
Il Rugby è uno sport di contatto, e come tale un bambino che effettua tale sport sicuramente si abitua a ricevere e dare colpi.
Proprio l’abitudine al contatto fisico che permette ai giovani che praticano questo sport di evitare traumi, e nel contempo a rispettare l’avversario.
Il contatto è ammesso soltanto per chi ha la palla in mano e pertanto ci si aspetta il placcaggio ed è prevedibile che possa cadere con la palla in mano.
- Tutti possono giocare a Rugby?
Si, dato che c’è notevole differenza fra i ruoli, contrariamente a quello che si pensa un bambino non eccessivamente grande può giocare tranquillamente, svilupperà quelle che sono le capacità per risolvere il “problema” statura e peso.
Ci sono esempi anche a livello internazionale che mostrano come un classico “mingherlino” può giocare contro i sovradimensionati “avanti”. Vediamo ad esempio come nel 6 Nazioni giocatori come il mediano di mischia irlandese Peter Stringer o l’italo-argentino Ramiro Pez riescano ad emergere nonostante abbiano un fisico da comune mortale.
Naturalmente non ci sono impedimenti diversi dagli altri sport di squadra, e le limitazioni sono le stesse per quanto riguarda calcio, basket e volley.
- Quando iniziare a giocare?
Il minirugby è da anni introdotto in Italia e già da un’età di 6-7 anni è possibile praticarlo, naturalmente le regole sono diverse e nelle prime fasi la pratica del rugby equivale a momenti ludici con delle regole molto semplici.
Il bambino che gioca a Rugby impara a correre con la palla, a fermare l’avversario che è portatore di palla e a superare la linea di meta.
Acquisisce quindi le modalità per una corretta corsa ed un corretto modo di cadere se placcato e comincia ad acquisire capacità di destrezza per evitare di essere bloccato dall’avversario. Inoltre comincia ad acquisire il concetto di disciplina in campo dove non si deve mai protestare ne reagire e imparare a controllare le reazioni.
Con il minirugby inizia una vera e propria scuola di vita.
- Quale impegno fisico deve sostenere un giovane che pratica il rugby?
L’impegno cardiovascolare è identico a quello degl’altri sport di squadra, la differenza è legata all’abitudine al contatto fisico, indubbiamente il piccolo atleta deve essere in buone condizioni generali e soprattutto deve avere un’integrità dell’apparato muscolo tendineo ed osteoarticolare, naturalmente gli impegni di tale apparato sono diversi a seconda dell’età del praticante, ovviamente il bambino più piccolo incontrerà pari età e l’impatto sarà proporzionato. La preparazione fisica del giovane atleta deve essere impostata, come tutti gli sport di squadra ad impegnare l’apparato cardiovascolare, l’apparto osteoarticolare e muscolo-tendineo. Il bambino che pratica rugby deve essere in grado di correre, spingere, saltare, e deve avere una buona destrezza per scartare gli avversari.
Tratto dall'articolo Perché giocare a Rugby del Dott. Marco Cappa (Dipartimento di Medicina Pediatrica, Ospedale Bambino Gesù)
- Cos’è il rugby per un bambino?
- Una delle più belle definizioni che ho mai letto sul rugby è quella riportata sul libro di M. Pastonesi e E. Pessina “il rugby è una partita di scacchi giocata in velocità” (Anonimo, p.7). Si, ma per un bambino di sei anni? E’ vero, per un bambino di sei anni la cosa si complica ancora di più perché a muoversi, non sono i semplici alfieri o i coraggiosi pedoni della scacchiera che potremmo metaforicamente accostare alle abilità e alle strategie tattiche di un adulto, per lui a muoversi sono le emozioni!
Nel rugby il bambino incontra se stesso attraverso il gioco dell’altro. Un rapporto che si rilanciano gesto dopo gesto, passaggio dopo passaggio in una continua oscillazione tra coesione e frammentazione. Il bambino incomincia a fare del proprio Sé un’esperienza emotiva condivisa nel gruppo dei pari. Il gioco corale accompagna le fasi della sua crescita psicofisica aiutandolo a condividere l’oggetto sé con, e attraverso, l’altro. In un rapporto di relazione dove ci si definisce come individui e ci si delimita rispetto all’altro, in cui cioè le differenze sono la ricchezza stessa del gruppo e di noi che ne facciamo parte. E’ attraverso il gesto del passaggio, della condivisione, della partecipazione gruppale per uno stesso fine che il bambino sente che può superare la sua individualità per una dimensione più sociale. “Dal narcisismo al socialismo” diceva un noto studioso britannico di nome W. R. Bion, anche lui, peraltro ex giocatore di rugby, nella prima metà del secolo scorso. E’ proprio questo il passaggio difficile che il bambino dovrà affrontare; un gruppo è uno spazio emotivo capace di accogliere e trasformare le ansie del cambiamento.
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